Una nota speciale la
merita la visita che facemmo alla città sacra di Chitrakoot.
Molte volte, il mio amico
Govinda, davanti a una tazza di tè fumante, mentre sedevo nel suo negozio, nei
giorni in cui il turismo scarseggiava e potevo prendere un po’ di riposo, mi
aveva parlato di questa città non troppo distante dal luogo da Khajuraho dove
abitavamo.
Dai racconti fatti potevo dedurre che il luogo santo fosse
anche, in qualche modo, magico.
Insomma, un posto
che doveva esser visto.
Intanto Aditya già camminava
spedito e io mi sentivo che ce l'avrebbe fatta ad affrontare il viaggio, la
novità del luogo dove non ci aspettavano comforts di nessun tipo neppure a
poterli pagare.
Soprattutto, non saremmo
andati soli io e lui. Aditya era già molto abituato ai viaggi ma, fino a
quel momento, mi ero limitata a luoghi di cui conoscevo pregi e difetti.
Ora si affrontava insieme "l'ignoto".
Govinda si offerse di
essere la nostra scorta. Era stato proprio lui a stimolare la mia curiosità.
Lui conosceva la città santa e desiderava tornare a visitarla. Ecco,
dunque, che potevamo disporre di una valida guida e, pertanto, non c'era più
motivo di esitare.
All'ultimo momento, alla
nostra piccola comitiva, si aggiunsero altre persone che avevo conosciuto
perché clienti del mio ristorante.
Si trovava a Khajuraho, in
vacanza, una donna americana con i suoi due figli adolescenti. La famigliola
stava effettuando un viaggio “pellegrinaggio”: uno dei figli, il ragazzo, era
nato in India, abbandonato nell’ashram di Madre Teresa a Calcutta e adottato da
lei quando aveva quattro anni.
Il ragazzo non ricordava
nulla dei primi terribili anni della sua vita e guardava l’India con occhi
pieni di stupore e con un senso di totale estraneità.
Quando seppe del viaggio
che mi accingevo a intraprendere, lei, Noah, espresse il desiderio di unirsi a
noi per visitare Chittrakoot; intuiva, a ragione, che doveva afferrare al
volo questa opportunità di vedere un luogo ancora poco o per nulla frequentato
dal turismo occidentale, sicuramente fuori dalle rotte del turismo di massa.
La città si trova nella
stessa regione dove vivevo ma, nondimeno, il viaggio era lungo e impegnativo:
dalle quattro alle cinque ore: un continuo, incessante sobbalzare delle ruote
della nostra auto su strade impervie. Attraversammo luoghi e villaggi isolati
dove neppure sarebbe stato possibile trovare un telefono
funzionante.
Dopo Satna, non
incrociammo neppure i pericolosi camion che attraversano l'India in lungo e in
largo, a qualunque ora.
Arrivammo a destinazione nel
primo pomeriggio e, dopo aver scartato un paio di alberghi i cui pavimenti non
erano stati spazzati da almeno un mese, ci venne indicata una casa per
pellegrini appena inaugurata. Scintillanti pavimenti di marmo, stanze
accoglienti, bagni molto puliti. I materassi erano ancora imballati nella
plastica. Lo staff era costituito da persone dolci e gentili che furono ben
felici di avere tra i primi ospiti la nostra simpatica comitiva.
Il luogo era "no
profit" perché donato ai pellegrini da un industriale che aveva deciso di
investire una parte del suo capitale a beneficio di quella umanità che
voleva trascorrere qualche giorno in un luogo di preghiera dove si diceva fosse
passato il dio Rama.
Ci servirono una cena
semplice e squisita. Verdure e daal (lenticchie) cucinati fresche per noi.
Chapati (pane indiano senza lievito), caldo e in abbondanza, il tutto servito
con ampi sorrisi.
Aditya prendeva padronanza
del luogo e scorrazzava, sicuro di sé, nella grande “hall” dove era stato
sistemata l'altare per la puja quotidiana.
Sembrava di essere in una
vera famiglia i cui membri si incontravano per la prima volta ma, chissà
perché, interagivano tra loro con quel fare che solo tra consanguinei
garantisce una totale assenza di imbarazzo e una condivisione gioiosa.
Dormimmo come sassi: ci
sentivamo al sicuro e fummo molto grati allo sconosciuto industriale che aveva
preparato questo luogo accogliente per noi.
La città santa di Chittrakoot sorge in una zona di estese foreste.
I templi sono molteplici
ma, più interessante è “la discesa nel ventre della madre terra”: c’è una
montagna cava, ai margini della città.
Ed ara questa che sembrava
rappresentare la vera magia, il mistero.
Sentimmo una certa inquietudine
già dai primi passi mentre scendevamo una scala agevole ricavata nella roccia. In
fondo alla scala si apriva una grande sala di forma circolare e, al centro
della stessa un semplice altare di pietra.
Quando guardammo in alto,
vedemmo un masso di dimensioni enormi che la natura, nei suoi modi sempre
insoliti e sorprendenti, aveva voluto
sospendere sopra l'altare e sopra di noi.
Il masso aveva una forma
somigliante a un cuore umano.
Rimanemmo estatici e
fiduciosi a percepire l’energia di quel masso sulle nostre teste. Si sentiva
chiaramente una pulsazione se si rimaneva in piedi per un po’ sotto al masso.
Lo sappiamo bene che i minerali sono viventi e hanno specifiche onde di
trasmissione della loro energia.
Nulla di strano che, in un
paese come l’India, dove Bhumi Devi (la Madre terra) è una divinità, un luogo
del genere venisse, a ragione, ritenuto sacro.
L’eredità spirituale di
Chitrakoot risale a tempi leggendari. In questa zona di grandi foreste il Dio
Rama, sua moglie Sita e Lakshamana, fratello del Dio, trascorsero undici anni e
mezzo del loro esilio e qui, grandi
saggi come Atri, Sati Anusuya, Dattatreya, molti veggenti, devoti e grandi
pensatori hanno trascorso lunghi periodi di meditazione e, anche la trinità
composta da Brahma, Vishnu e Shiva, in questi luoghi, si è incarnata.
In quelle stupende
giornate trascorse a Chitrakoot, ci siamo rinnovati, tra rocce, alberi e acque
sacre: l’energia vibrazionale di Bhumi Devi era costante, era a nostra
disposizione e bastava essere lì, nelle strade, nei sentieri per ricevere il
rinnovamento che la Madre Terra ci elargiva in abbondanza.
Tornammo a Khajuraho
stanchi ma pieni di entusiasmo per i doni ricevuti.