Tornammo a Kathmandù ancora un paio di giorni, forse tre prima del rientro in India. Trascorremmo molto tempo nella grande libreria di Thamel "The pilgrims". Cercai subito mazzi di tarocchi, libri di tarocchi: ce ne erano una buona varietà ma non quelli ... eppure avevo sempre di più l'idea che quel mazzo di tarocchi lo avessi già visto!
Aditya scelse libri per sé, era freddo a Kathmandù in quei giorni, il sole tramontava presto e così, dopo le visite in libreria, andavamo a far quattro chiacchiere nel negozio dei nuovi amici indiani, pochi metri più in là.
Aditya era contento della loro compagnia. I ragazzi parlavano un buon italiano e la conversazione era uno spasso per lui che passava dall' hindi all'italiano con estrema facilità, usava l'una o l'altra lingua a seconda di come le espressioni erano più efficaci e colorite. La sera si cenava insieme al ristorante "The third eye" o alla pizzeria "Fire and ice".
Sulla strada del ritorno uno dei tre giovani ragazzi indiani si faceva carico di portare Aditya in braccio fino in albergo dove qualche inserviente si caricava del suo peso fino a depositarlo sul letto ormai già addormentato. Quello che ho trovato nei miei viaggi da sola con figlio al seguito, sia in India che in Nepal, e' sempre stato il massimo dell' aiuto, assistenza e cura verso il bambino, trattato con affetto e tenerezza sinceri.
Mai ho dovuto chiedere aiuto, perché qualcuno arrivava di sua volonta' pronto a prevenire qualunque richiesta. Questo fa comprendere quanta naturale attenzione ci sia verso i bambini. Se dovessi consigliare a qualche mamma che viaggia sola con figli direi, senza esitazione di andare in India o in Nepal.
Arrivò il giorno del rientro in India, passammo a salutare gli amici indiani di Jaipur e ce ne andammo.
Io ero triste, la vacanza era stata cosi intensa e già pensavo al mio prossimo viaggio nella terra degli dei da lì a qualche settimana. Atterrammo a Varanasi, sosta in hotel per la notte. Il nostro autista, Pappù, arrivò da Khajuraho con dei turisti a tarda sera, pronto a ripartire all'indomani.
Trascorsero i giorni affaccendati della settimana della danza classica indiana ai templi di Khajuraho, spettacolo da non perdere per il fascino dei movimenti dei danzatori e danzatrici, dei musicisti e dei templi che fanno da sfondo. Una scenografia maestosa e più appropriata non si potrebbe trovare.
Dopo il Maha Shivaratri (festa dedicata al Dio Shiva), fremevo per l'impazienza di tornare a Kathmandù. Inoltre, dal momento in cui era nato mio figlio non avevo mai più trascorso un giorno senza di lui, perciò questa sarebbe stata anche l'opportunità di godere di un po' di solitudine.
In pochi giorni eravamo già a primavera avanzata: una sacca da viaggio con pochi indumenti era sufficiente questa volta. Passai da Varanasi, come al solito e poi, via, diretta al piccolo aeroporto di Kathmandù.
Scesi al solito albergo, sorseggiai una tazza di tè e subito dal chiromante.
Mi accolse non senza meraviglia, forse davvero non aveva creduto che sarei tornata. Prese l'impronta delle mie mani dopo avermele ben bene inchiostrate e mi dette appuntamento per due giorni dopo. Passai subito a salutare gli amici di Jaipur: c'erano soltanto Rajnesh e Devender.
Tra una chiacchiera e l'altra selezionai monili d'argento per il mio negozietto di Khajuraho. Concordammo un prezzo molto buono, quasi d'ingrosso.
Ormai non avrei avuto tempo di andare fino a Jaipur per i soliti acquisti semestrali, in pochi settimane sarei partita per l'Italia. Chiesi loro di tenere tutto da parte: avrei ritirato il giorno prima della partenza.
Il chiromante, cerimonioso nei suoi gesti, mi accolse per la sua spiegazione che incise su un nastro. Lo studio della mia mano era completo, esaustivo.
Mi parlò della mia vita, del passato, del momento attuale, del futuro.
Fece un unico errore per quanto riguardava il futuro: vide la mia uscita definitiva dall'India all'età di 53 anni mentre invece me ne andai a 44.
Ma lo sapevo bene che stava sbagliando: il tempo era proprio stretto. Me lo sentivo a pelle. Per il resto, posso dire che il lavoro che faccio oggi è proprio quello che aveva previsto.
Il giorno prima della mia partenza da Kathmandù andai a ritirare l'argento e pagare.
Ma ... non potevano accettare la mia carta di credito per il pagamento. Solo cash! Una corsa in moto fino alla banca: stava chiudendo i cancelli! Tornammo al negozio. Che fare? Per loro sfumava un incasso interessante. Bisognava trovare una soluzione. Era venerdì e, fino a lunedì, niente cash, ma il mio aereo era già prenotato per il sabato mattina.
Rajnesh che aveva funzioni decisionali mi disse: prendi tutto lo stesso, quando passi da Jaipur ci pagherai. Obiettai che ci sarebbero voluti diversi mesi prima che passassi di lì, si fidava veramente di me così tanto?
Sì, mi disse.
A quel punto cominciò a scendere su di noi "la polverina magica" di cui si parla nella tecnica dei 101 desideri.
Preparò una fattura con indirizzo del negozio di "suo cugino" a Jaipur e mi consegnò il tutto.
Mesi dopo, arrivai a Jaipur, affittai un risciò che mi lasciò davanti all'Hawa Mahal, il famoso Palazzo dei venti, della città rosa. Fattura alla mano, stavo cercando il negozio quando mi imbattei in ... Devender.
Sì proprio lui! Uno dei ragazzi di Kathmandu. Mi fece strada su per le impervie scalette che conducevano al negozio.
Prima di pagare ... una tazza di tè, naturalmente. Mentre sorseggiavo mi guardavo intorno e mi convincevo sempre di più che quel negozio lo avevo già visto. Così chiesi se, qualche anno prima lì non avesse lavorato un certo Shiva. Ma certo, mi fu detto questo è il negozio di Shiva, lo conosci? No, non lo conoscevo perché la volta che ero andata lì, anni prima, Shiva non c'era ma lui era molto amico di Pardeep il mio amico indiano che vive a vicino Roma e di cui avevo perduto le tracce. Lo chiamarono al telefono per farmi parlare con lui. Quando seppe chi io fossi mi salutò con voce cordiale e gioiosa e ... meraviglia, mi comunicò che frequentava Pardeep quando si recava a Roma per affari e, in quel momento, il cerchio si chiuse. Non sto a farla lunga ma oggi Pardeep ha un ristorante indiano a Trastevere il quartiere dove io vivo.
Il ristorante si chiama Jaipur e ci potete scommettere che c'è il mio zampino.
Aditya e il figlio di Pardeep, Sahil sono amici, persino hanno frequentato la stessa facoltà universitaria.
Grazie Nepal! Terra di magie. Un piccolo regno tra i monti più alti del mondo, oggi stravolti da un terremoto che mi ha toccata nel profondo del mio cuore e delle mie radici. Il mio spirito di ricerca e di avventura mi riporterà in quella terra prima o poi. Con tutto il mio amore. Namaste'
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