Omaggio al
Nepal – Terra degli Dei, di montagne, terra di Dakini -
Terza parte
Terza parte
Era proprio
il viaggio che desideravo fare, che avevo bisogno di fare.
La spinta alla consultazione del chiromante era quella che mi aveva “stanata” dalla quiete della piccola quanto meravigliosa #Khajuraho dove la vita scorreva lenta e sonnolenta, con un panorama sempre uguale sulle Dantla Hills e i fantastici templi tantrici, meravigliosi manufatti di sconosciuti artigiani che hanno lasciato un'ineguagliabile eredità artistica all’umanità intera.
La spinta alla consultazione del chiromante era quella che mi aveva “stanata” dalla quiete della piccola quanto meravigliosa #Khajuraho dove la vita scorreva lenta e sonnolenta, con un panorama sempre uguale sulle Dantla Hills e i fantastici templi tantrici, meravigliosi manufatti di sconosciuti artigiani che hanno lasciato un'ineguagliabile eredità artistica all’umanità intera.
Ritrovare le
stradine di Thamel, con più alberghi e numerosi ristoranti per tutti i gusti, ma
con la stessa familiarità di tanti anni prima.
Divenimmo
clienti abituali del ristorante “The third eye”, lo staff era molto simpatico,
tra le salette dove mangiare c’era la possibilità di scegliere quella dove ci
si poteva sedere a terra, su comodi cuscini ed era vicinissimo al nostro albergo.
Nel mio ultimo viaggio in Nepal, nel 2010, un cameriere di questo ristorante ricordava ancora il nome di mio figlio, dopo ben quattordici anni.
Nel mio ultimo viaggio in Nepal, nel 2010, un cameriere di questo ristorante ricordava ancora il nome di mio figlio, dopo ben quattordici anni.
Il
chiromante aveva il suo studio a due passi da lì. Il giorno successivo al mio arrivo
mi apprestai a salire le scale fino al primo piano, senza esitazioni, bussai e attesi
con curiosità: avrebbe aperto lui personalmente o un assistente?
Che aspetto
avrebbe avuto? Sarebbe stato accogliente?
La porta si
aprì ed era proprio lui a ricevermi, nessun assistente, nessun altro nello
studio. Con cordialità e calma, davanti a una tazza di tè, mi spiegò il suo
modo di lavorare: avrebbe preso l’impronta delle palme delle mie mani su di un
foglio, spalmandole ben bene d’inchiostro, e, dopo due giorni, sarebbe stato
pronto per spiegarmi tutto quanto si poteva dedurre dallo studio di tutte
quelle linee.
Ma, come in
tutte le imprese degne di tal nome, c’era un ostacolo: Aditya non avrebbe dovuto essere presente.
Compresi
subito che non c’era possibilità di venire fuori da questo problema.
Non potevo
lasciare il bambino, per due ore, con degli sconosciuti, fossero pure stati
dello staff dell’albergo.
Questo non
mi fermò nelle mie intenzioni, soltanto ritardò la data della consultazione.
Valutai
che, al termine della vacanza, superato il momento di picco di presenze
turistiche a Khajuraho che cade nella settimana della danza classica
indiana, nel periodo del MahaShivaratri, sarei potuta tornare per un brevissimo viaggio. Ecco perché nella vita romana di tutti i giorni io, tra me e me, sorrido quando qualcuno mi dice che il quartiere dove insegno yoga "è lontano da casa mia" "mi piacerebbe ma ...".
Il mio spirito
di avventura fu persino stimolato dalla possibilità di un altro viaggetto di una quindicina di ore,
questa volta tutta sola. SE VUOI, PUOI!
Questo è uno dei miei motti.
Questo è uno dei miei motti.
Io non lo
sapevo in quel momento e neppure tutte le persone coinvolte nella vicenda lo
poteva immaginare ma, il secondo viaggio sarebbe diventato il punto di innesto
di un destino che “doveva necessariamente compiersi”.
Il
chiromante, ora che l’avevo visto, mi convinceva, e decisi che era essenziale
ricevere la sua consulenza.
Intanto,
Aditya e io potevamo rilassarci e goderci la vacanza.
Mentre
passeggiavamo, subito dopo colazione, per le stradine colorate di merci, fummo
richiamati da un giovane commerciante che era in piedi sulla porta del suo
negozio. Parlava italiano alla perfezione ma era indiano.
Vendeva monili di pietre e argento: la mia passione.
Vendeva monili di pietre e argento: la mia passione.
In quel tempo anch’io svolgevo, in piccolo,
quel commercio nel negozietto che si trovava sotto al mio ristorante.
Il giovane
uomo, indiano, mi chiese con molta cortesia di entrare a vedere il suo negozio,
mi riservai di passare nel pomeriggio, più tardi.
E fu proprio lì, nel suo negozio, che ebbe
inizio il primo evento speciale di quel viaggio ma, che fosse speciale, lo
compresi molti mesi dopo …
Portai
Aditya a vedere i templi più vicini, la Durbar Square, lui mi seguiva incuriosito.
Rispettavo i suoi tempi, c’era tanto da esplorare e camminare.
Prenotai un
volo per Pokhara, dove c’è un fantastico lago, per stare più a contatto con la
natura, in seguito saremmo andati nella
giungla per vedere elefanti, rinoceronti e coccodrilli.
Per mio
figlio un vero e proprio programma che valeva ben più di una gita a Disneyland.
Già il volo fu
una vera avventura, sorvolammo alcune vette innevate, il piccolo velivolo a
venti posti costeggiava pareti coperte di ghiaccio. Un’emozione anche per me:
quando sei su un piccolo aereo ci si rende conto di quanto siamo piccoli
rispetto alle montagne e quanto in balia dei vuoti d’aria.
Soltanto
durante quel volo mi resi conto che Aditya non aveva mai visto la neve ma
neppure ne sospettava l’esistenza, non ce ne era stata occasione e la parola
neve per lui era vuota di qualunque significato.
Credeva che
le montagne fossero di gesso. Parlando un po’ italiano e un po’ hindi, mi
disse: mamma “batthì” che, appunto, significa gesso.
Atterrati a
Pokhara, con il corpo che ancora tutto vibrava, ci sistemammo in una
pensioncina sulla strada che costeggia il lago. Poche stanze, molto pulita,
pannelli solari installati sul tetto per l’acqua calda.
Il
proprietario ci accolse con tanta gioia e quel sorriso tipico della gente nepalese. Namasté!
Aveva due o
tre figli piccoli. Aditya ebbe subito qualcuno con cui giocare e intendersi a
meraviglia poiché la lingua nepalese è molto simile all’hindi.
I bambini iniziarono a conversare con la massima
tranquillità come si fossero conosciuti da mesi.
Nessun
capriccio, nessun malinteso ma solo la gioia di stare insieme, quella che dovrebbe appartenere a qualunque essere umano che ne incontra una altro: siamo tutti su questa terra per conoscerci, riconoscerci e sostenerci.
Il dono.
Occhi a mandorla, pelle chiara, pelle scura: tutti esseri umani.
Questa è la
magia che si accende tra bambini che hanno vissuto una vita molto semplice con
solo un paio di giocattoli a disposizione.
Da lì, con
la loro grande fantasia, fanno partire decine di situazioni di gioco perché la
loro mente è creativa, la natura del #popolo
nepalese è dolce, pacata e pacifica, e i bambini nepalesi sono portatori di
una grande eredità: uguaglianza e armonia.
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