IO E L'INDIA: APPUNTI DI VITA VISSUTA
Dedico questa sezione del blog a mio figlio Aditya Takshak, a tutti coloro che in India mi hanno dato amicizia e supporto, in particolare al mio amico Govinda Soni di Khajuraho che non è più tra noi.
VIAGGIARE
Dedico questa sezione del blog a mio figlio Aditya Takshak, a tutti coloro che in India mi hanno dato amicizia e supporto, in particolare al mio amico Govinda Soni di Khajuraho che non è più tra noi.
VIAGGIARE
Quante volte in questi anni trascorsi
ho pensato che avrei dovuto scrivere per raccontare la mia vita in
India!
Il tempo e la concentrazione
necessari per realizzare questa intenzione erano sempre troppo scarsi.
Anche ora non saprei proprio come iniziare. Oppure, sì, certo, il mio "desiderio" potrebbe essere il giusto inizio.
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Un giorno, tanti anni fa, viaggiavo
per la prima volta in India e procedevo da Udaipur in direzione Agra…
Jaipur , stazione degli autobus. Una
sosta di breve durata, forse un’ora: un’ondata di desiderio mi ha investita,
una memoria di appartenenza. La capitale del Rajasthan dove avrei vissuto e abitato per due anni ben quattordici anni dopo.
Tornerò, pensai, voglio andare a
fondo di questa sensazione.
E poi via, di nuovo su un altro
autobus, attraverso strade accidentate, tra scossoni e polvere Agra, Varanasi e,
infine, Khajuraho.
Khajuraho, con i suoi templi con
sculture tantriche, dopo tanto vagare, nel 1982, mi apparve come un’oasi di
silenzio.
Le strade pulite, pochi semplici
negozietti. Non una città, ma, finalmente, un villaggio dove il tempo scorreva
più lento che altrove.
Si stava bene a Khajuraho, sentii che
potevo fermarmi a riposare per ritemprarmi
prima di rientrare a Roma. Quei pochi giorni mi permisero di sentire che il luogo era familiare, mi trovavo a mio agio. Molti anni dopo vissi lì uno dei periodi più intensi, felici e faticosi della mia vita.
Ero ormai giunta al termine del mio primo viaggio in India.
Ero ormai giunta al termine del mio primo viaggio in India.
Mentre l’aereo si sollevava
mostrandoci le miriadi di tetti di New Delhi, promettevo a me stessa “tornerò”.
L’inverno romano, subito dopo il viaggio, fu difficile. I
colori e i profumi dell’India continuavano ad essere forti e vividi nella mia
mente. Il desiderio di tornare era sempre lì, forte e costante.
Tornare, sì. Andare a fondo, esplorare quel
desiderio che mi dava nuove strane sensazioni: essere inghiottita da tutte
quelle folle in movimento, quegli odori penetranti, quella vita lenta e
frenetica al tempo stesso.
Svariati brevi viaggi mi riportarono
in India e, nel frattempo, preparavo
speranzosa quello che sarebbe stato il “mio lungo viaggio”.
Dopo alcuni anni di paziente preparazione, fui in grado di
lasciare il lavoro e partire.
Era il 12 dicembre 1990: avevo
davanti a me un lungo periodo di permanenza, un anno, per l’esattezza.
Almeno questi erano i piani.
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