domenica 11 ottobre 2015

Omaggio al Nepal terra degli dei, di montagne, di Dakini

Tornammo a Kathmandù ancora un paio di giorni, forse tre prima del rientro in India. Trascorremmo molto tempo nella grande libreria di Thamel "The pilgrims". Cercai subito mazzi di tarocchi, libri di tarocchi: ce ne erano una buona varietà ma non quelli ... eppure avevo sempre di più l'idea che quel mazzo di tarocchi lo avessi già visto!

Aditya scelse libri per sé, era freddo a Kathmandù in quei giorni, il sole tramontava presto e così, dopo le visite in libreria, andavamo a far quattro chiacchiere nel negozio dei nuovi amici indiani, pochi metri più in là.

Aditya era contento della loro compagnia. I ragazzi parlavano un buon italiano e la conversazione era uno spasso per lui che passava dall' hindi all'italiano con estrema facilità, usava l'una o l'altra lingua a seconda di come le espressioni erano più efficaci e colorite. La sera si cenava insieme al ristorante "The third eye" o alla pizzeria "Fire and ice".

Sulla strada del ritorno uno dei tre giovani ragazzi indiani si faceva carico di portare Aditya in braccio fino in albergo dove qualche inserviente si caricava del suo peso fino a depositarlo sul letto ormai già addormentato. Quello che ho trovato nei miei viaggi da sola con figlio al seguito, sia in India che in Nepal, e' sempre stato il massimo dell' aiuto, assistenza e cura verso il bambino, trattato con affetto e tenerezza sinceri.

Mai ho dovuto chiedere aiuto, perché qualcuno arrivava di sua volonta' pronto a prevenire qualunque richiesta. Questo fa comprendere quanta naturale attenzione ci sia verso i bambini. Se dovessi consigliare a qualche mamma che viaggia sola con figli direi, senza esitazione di andare in India o in Nepal.
Arrivò il giorno del rientro in India, passammo a salutare gli amici indiani di Jaipur e ce ne andammo.

Io ero triste, la vacanza era stata cosi intensa e già pensavo al mio prossimo viaggio nella terra degli dei da lì a qualche settimana. Atterrammo a Varanasi, sosta in hotel per la notte. Il nostro autista, Pappù, arrivò da Khajuraho con dei turisti a tarda sera, pronto a ripartire all'indomani.

Trascorsero i giorni affaccendati della settimana della danza classica indiana ai templi di Khajuraho, spettacolo da non perdere per il fascino dei movimenti dei danzatori e danzatrici, dei musicisti e dei templi che fanno da sfondo. Una scenografia maestosa e più appropriata non si potrebbe trovare.
Dopo il Maha Shivaratri (festa dedicata al Dio Shiva), fremevo per l'impazienza di tornare a Kathmandù. Inoltre, dal momento in cui era nato mio figlio non avevo mai più trascorso un giorno senza di lui, perciò questa sarebbe stata anche l'opportunità di godere di un po' di solitudine.
In pochi giorni eravamo già a primavera avanzata: una sacca da viaggio con pochi indumenti era sufficiente questa volta. Passai da Varanasi, come al solito e poi, via, diretta al piccolo aeroporto di Kathmandù.

Scesi al solito albergo, sorseggiai una tazza di tè e subito dal chiromante.

Mi accolse non senza meraviglia, forse davvero non aveva creduto che sarei tornata. Prese l'impronta delle mie mani dopo avermele ben bene inchiostrate e mi dette appuntamento per due giorni dopo. Passai subito a salutare gli amici di Jaipur: c'erano soltanto Rajnesh e Devender.

Tra una chiacchiera e l'altra selezionai monili d'argento per il mio negozietto di Khajuraho. Concordammo un prezzo molto buono, quasi d'ingrosso.

Ormai non avrei avuto tempo di andare fino a Jaipur per i soliti acquisti semestrali, in pochi settimane sarei partita per l'Italia. Chiesi loro di tenere tutto da parte: avrei ritirato il giorno prima della partenza.

Il chiromante, cerimonioso nei suoi gesti, mi accolse per la sua spiegazione che incise su un nastro. Lo studio della mia mano era completo, esaustivo.

Mi parlò della mia vita, del passato, del momento attuale, del futuro.
Fece un unico errore per quanto riguardava il futuro: vide la mia uscita definitiva dall'India all'età di 53 anni mentre invece me ne andai a 44.

Ma lo sapevo bene che stava sbagliando: il tempo era proprio stretto. Me lo sentivo a pelle. Per il resto, posso dire che il lavoro che faccio oggi è proprio quello che aveva previsto.
Il giorno prima della mia partenza da Kathmandù andai a ritirare l'argento e pagare.

Ma ... non potevano accettare la mia carta di credito per il pagamento. Solo cash! Una corsa in moto fino alla banca: stava chiudendo i cancelli! Tornammo al negozio. Che fare? Per loro sfumava un incasso interessante. Bisognava trovare una soluzione. Era venerdì e, fino a lunedì, niente cash, ma il mio aereo era già prenotato per il sabato mattina.

Rajnesh che aveva funzioni decisionali mi disse: prendi tutto lo stesso, quando passi da Jaipur ci pagherai. Obiettai che ci sarebbero voluti diversi mesi prima che passassi di lì, si fidava veramente di me così tanto?
Sì, mi disse.

A quel punto cominciò a scendere su di noi "la polverina magica" di cui si parla nella tecnica dei 101 desideri.

Preparò una fattura con indirizzo del negozio di "suo cugino" a Jaipur e mi consegnò il tutto.
Mesi dopo, arrivai a Jaipur, affittai un risciò che mi lasciò davanti all'Hawa Mahal, il famoso Palazzo dei venti, della città rosa. Fattura alla mano, stavo cercando il negozio quando mi imbattei in ... Devender.

Sì proprio lui! Uno dei ragazzi di Kathmandu. Mi fece strada su per le impervie scalette che conducevano al negozio.
Prima di pagare ... una tazza di tè, naturalmente. Mentre sorseggiavo mi guardavo intorno e mi convincevo sempre di più che quel negozio lo avevo già visto. Così chiesi se, qualche anno prima lì non avesse lavorato un certo Shiva. Ma certo, mi fu detto questo è il negozio di Shiva, lo conosci?  No, non lo conoscevo perché la volta che ero andata lì, anni prima, Shiva non c'era ma lui era molto amico di Pardeep il mio amico indiano che vive a vicino Roma e di cui avevo perduto le tracce. Lo chiamarono al telefono per farmi parlare con lui. Quando seppe chi io fossi mi salutò con voce cordiale e gioiosa e ... meraviglia, mi comunicò che frequentava Pardeep quando si recava a Roma per affari e, in quel momento, il cerchio si chiuse. Non sto a farla lunga ma oggi Pardeep ha un ristorante indiano a Trastevere il quartiere dove io vivo.

Il ristorante si chiama Jaipur e ci potete scommettere che c'è il mio zampino.

Aditya e il figlio di Pardeep, Sahil sono amici, persino hanno frequentato la stessa facoltà universitaria.

Grazie Nepal! Terra di magie. Un piccolo regno tra i monti più alti del mondo, oggi stravolti da un terremoto che mi ha toccata nel profondo del mio cuore e delle mie radici. Il mio spirito di ricerca e di avventura mi riporterà in quella terra prima o poi. Con tutto il mio amore. Namaste'

venerdì 9 ottobre 2015

OMAGGIO AL NEPAL, terra degli Dei, di montagne, di Dakini

Riprendo la narrazione dopo una lunga pausa perché ho preparato il mio viaggio in India 2015. Ora sono pronta a procedere con il racconto.

Eravamo appena arrivati alla pensioncina di Pokhara,  gestita da una gentile famiglia nepalese.

Aditya si divertiva con i suoi nuovi amichetti, giocava come se si fossero conosciuti da sempre e io mi godevo la pace e il silenzio di quel luogo.
Mentre sostavo sul pianerottolo del piano della nostra stanza e guardavo con gioia i bambini giocare e parlare tra loro, Aditya in hindi e gli altri in nepali, si capivano benissimo, vedo arrancare, ansimante, per le scale che conducevano al piano, una donna. Americana, come seppi subito dopo. Lei mi saluta con grande enfasi e mi porge la mano, si presenta: Sarah. 

Ricambio e lei, con straordinario senso di familiarità mi chiede subito da dove vengo, che programmi ho, quanto a lungo intendo fermarmi. 

Non appena le dico che sto viaggiando con mio figlio di quattro anni e glielo indico, intento a giocare, i suoi occhi si illuminano e mi dice che, due stanze più in là alloggia una sua amica, di nazionalità canadese, con figlia, stessa età del mio. Senza esitare mi mette al corrente di un bel problema in cui si sono trovate immerse e che non riescono a risolvere. Lei sente che, in qualche modo, io potrei essere di aiuto.
In breve, questa era la situazione.

La figlia dell`amica, è una bimba nepalese adottata a pochi mesi dalla nascita. Ogni anno, la mamma adottiva, da Vancouver riportava la bimba in Nepal per farle rivedere i suoi veri genitori e i fratelli nonché la terra  e il villaggio da cui proveniva. Intendeva in questo modo, aiutarla a mantenere il contatto con le sue radici.

Ma questa volta era accaduto "qualcosa" di insolito al villaggio. 

Nessuno aveva capito cosa, ma la bimba, Dhan Kumari il suo nome, aveva iniziato a urlare come un`ossessa non appena entrata nella modesta casa di famiglia e la crisi era stata così forte che la mamma adottiva aveva dovuto portarla via temendo il peggio. Nessuno era riuscito a placarla.


Dal villaggio a Kathmandu da Kathmandu a Pokhara, in due giorni Dhan Kumari non aveva più né parlato né mangiato e, a forza, aveva ingoiato qualche goccia di acqua!

La mamma e la sua amica non sapevano più cosa fare. Consultare un medico? Impossibile. Ogni volta che un viso nepalese si accostava alla bimbetta erano crisi, pianti e urla.
A quel punto, chissà per quale spinta intuitiva, mi chiesero, secondo me, cosa si potesse fare.
Volli vedere la bimba che dormiva esausta. La mamma era, a dir poco, sfatta dalla preoccupazione.

Mi occupavo da anni di cura delle anime, usavo svariate tecniche, e da un anno mi interessavo ai rimedi floreali di Bach nei quali riponevo tutta la mia fiducia. 

Usandoli avevo ottenuto risultati soddisfacenti e viaggiavo sempre con due bottigliette di Rescue Remedy nella borsa. Era quella l'unica cosa che potevo offrire. L'obiezione fu: "ma lei tiene le labbra serrate". "Non importa- dissi io - mentre dorme lasciamo cadere le gocce sulle labbra e una goccia sul punto del terzo occhio".
Lo facemmo insieme con religioso silenzio e cautela. Poi lasciai la bottiglietta a lei suggerendole di fare varie applicazioni durante la notte. 

Sarah, Aditya, e io ce ne andammo a cena e portammo indietro cibo per la mamma prigioniera nella stanza. 
Ci augurammo una notte portatrice di guarigione, raccomandai, per qualunque evenienza di svegliarmi senza alcuna remora. La notte passò. Al mattino presto, era l'alba, eravamo sul ballatoio a confabulare.

Ormai avevo preso in mano le redini della situazione. 

Il piano era il seguente. 


Al risveglio di Dhan Kumari, con un atteggiamento noncurante sarei entrata nella stanza insieme a mio figlio, Aditya, e due ciotole di porridge e latte. 


Aditya si sarebbe messo a mangiare e la seconda ciotola sarebbe stata posta sul tavolo, noi donne, ci saremmo posizionate fuori dalla porta, mantenendola aperta a parlare dei programmi della giornata.

Aditya era stato informato che la bambina si rifiutava di mangiare, e sapeva che doveva fare finta di niente, salutarla, presentarsi, chiedere a lei il suo nome. E non si sarebbe dovuto sentire offeso se lei non avesse risposto.
Così facemmo e i bambini parlarono subito tra loro, e mangiarono la loro colazione. Noi non stavamo nei panni dalla soddisfazione. La mamma di Dhan Kumari, Nicole, a stento trattene, lacrime di gioia.

Ci preparammo a una giornata di passeggiate, gita in barca sul lago di Pokhara, degustazione di manicaretti nei ristoranti locali. Tutto andò a meraviglia. La piccola era guarita. 

Al pomeriggio i bambini si lanciarono in uno shopping sfrenato nel locale supermarket, comprando una felpa a testa, biscotti e l'immancabile cioccolato svizzero reperibile già da quel tempo in Nepal. Trascorremmo insieme giornate serene scambiandoci tante confidenze, suggerimenti. 

Fu proprio la mamma di Dhan Kumari a volermi prestare per qualche giorno un interessante mazzo di tarocchi dalla forma circolare con raffigurazioni simboliche che attrassero subito la mia attenzione. Sono un' appassionata di tarocchi e ne possedevo una piccola collezione. 

Cito questo particolare perché questo mazzo di carte è stato il protagonista responsabile per una nuova importante amicizia dal lato opposto del mondo: New York e tanti viaggi fatti in quella nuova direzione negli anni successivi.

Il caso e la nostra apertura al nuovo possono determinare interessanti svolte del destino. E Dio solo sa quanto io fossi aperta a percorrere nuove strade in quel momento della mia vita. Venne infine il momento di separarci. Con dispiacere, in una mattina grigia, ci avviammo al piccolo aeroporto.

Una cosa però voglio dirla: se oggi sono riuscita a decidere di scrivere queste memorie della mia vita negli anni `90, è merito di Sarah. Lei, una scrittrice di professione, mi suggerì con insistenza di narrare la mia vita in India.

Se oggi ho un caro amico che vive a Manhattan e che è uno dei punti di riferimento della mia vita, è merito di Nicole e di Dhan Kumari e di quel viaggio in Nepal, terra degli dei!