giovedì 21 febbraio 2019

Da Calcata a Khajuraho - PRIMA PARTE

Da Calcata a Khajuraho - PRIMA PARTE

Una gita a Calcata, qualche mese fa, con mio figlio che non era mai stato in questo singolare paesino, nonostante si trovi a pochi chilometri da Roma, ha risvegliato in me un'antica memoria.

Infatti, fu proprio lì, a Calcata, che prese forma la mia idea di andare a esplorare l'India e spingermi fino a Khajuraho dove poi ho vissuto per diversi anni, dove mio figlio ha trascorso i suoi primi anni di vita e dove, ancora oggi, vivono molti dei miei cari amici indiani.

Ero giovane, curiosa ed entusiasta di ogni novità che riguardasse il mondo dell'Oriente, dell'India in particolare. Avevo già letto “Autobiografia di uno Yogi “: una pietra miliare che fu mio supporto durante il temuto ritorno di Saturno sul Saturno Radix.

Accadde che un paio di amici prendessero in affitti un appartamento a Calcata per “fuggire da Roma” durante il weekend.

La domenica, la loro casa era aperta a tutti coloro che desiderassero starsene un po’ lontani dai soliti luoghi di ritrovo romani e illudersi di scacciare l'idea della settimana trascorsa nella monotonia di un ufficio e di un'altrettanto monotona settimana alle porte!

Nei pomeriggi, alcuni, attorno a un tavolino, giocavano a carte, altri, tra cui me, con qualche pretesa intellettuale, seduti al tepore della fiamma del caminetto, parlavano, raccontavano le proprie esperienze, progetti e sogni.

Fu così che conobbi Giancarlo, il primo del gruppo a tentare di organizzare per sé un viaggio in India in solitaria. Era il 1981.

Passò l'estate, il gruppo si disperse tra vacanze domeniche al  mare, notti di “estate romana”.
Lui parti per l'India.
Tornò con tanti racconti da snocciolare davanti al caminetto della casa di Calcata in quelle domeniche d'inverno di freddo e pioggia gelata.

India, Pondicherry, Auroville, Agra, Calcutta erano nomi ricorrenti che suonavamo come musica alle mie orecchie. Spezie, colori, templi e divinità.
Libri che illustrassero in maniera approfondita la cultura, i costumi e le tradizioni, ce ne erano ben pochi, a quel tempo, in Italia. Una sola la guida turistica disponibile in libreria.

Pertanto i racconti di chi era già stato sul posto si rivelavano un vero pozzo, unico direi, di informazioni.

Infine, tra tutte le località dell’India narrate dall'amico esploratore, emerse un nome: Khajiuraho. Da non perdere, raccomandò Giancarlo.
Non facile da raggiungere, tra Agra e Benares, un po’ fuori dalle rotte comuni, ma, proprio lì, si trovava un gruppo di importanti templi tantrici antichissimi, molto ben conservati con le loro
sculture spettacolari.

Nel mio programma di viaggio, Khajuraho era una tappa che non avrei mancato per nulla al mondo anche perché, all'epoca, non avrei dato per scontato che sarei potuta tornare  in India più di una volta nella vita!!!

Fine ottobre 1982: biglietto aereo, passaporto munito di visto d'ingresso, nessun albergo prenotato. Partii con quella spensieratezza tipica dei giovani che affrontano l'ignoto senza un briciolo di esitazione.
Risuonava nelle mie orecchie l'eco di una canzone di Battiato che mi aveva accompagnata per tutta l'estate e che raccontava di dervisci danzanti, sciamani e “suono di cavigliere del Kathakali “.

Il viaggio fu complesso, articolato, si passava da un treno a un autobus per nulla confortevole, sballottati, a ogni sobbalzo, come sacchi di patate. Una volta, per un viaggio stimato di 22 ore, prenotai un “video coach”, sedili più confortevoli senza dubbio, ma dove, per tutta la notte, furono proiettati film musicali bollywoodiani a un volume così assordante ma che, oso dire, sembrava non disturbasse affatto gli altri passeggeri.

I miei occhi erano, senza sosta, spalancati sulle meraviglie di paesaggi, templi lungo le strade, abiti di smagliante colori, mercati di frutta tropicale e collane di fiori profumatissimi.

Ero proprio in un mondo difficilmente immaginabile nonostante i racconti di Calcata; dal mio scomodo posto di osservazione, la mia città, Roma, e l'Italia mi sembravano ormai un luogo lontano e sbiadito.

mercoledì 13 febbraio 2019

GEORGE - PRIMA PARTE UN AMERICANO A KHAJIURAHO

GEORGE - PRIMA PARTE

Oggi voglio parlare del mio amico George Carter, anche lui personaggio di spicco, della mia vita in India. Qualcuno che ha dato il suo grande contributo per compiere "il salto"!

Americano di Boston lo incontrai alla stazione ferroviaria di Jhansi dove fui spedita a prelevarlo, per condurlo a Khajuraho con il nostro taxi, da quello che allora era mio marito.

Andai con mio figlio e, quando lo vidi spuntare tra tutte le persone in arrivo con lo Shatabdi Express proveniente da Delhi, lo riconobbi subito.

Infatti le istruzioni erano: uomo alto, di colore, ovvero un nero americano. George era simpaticissimo e, abituato per la sua professione a esibirsi su un palcoscenico, sembrava che stesse sempre recitando una parte.

E, di certo, con il suo modo di fare lasciava la gente simpaticamente divertita, perplessa o preoccupata a seconda delle capacità personali di interpretare le sue espressioni da uomo di teatro

Si fermò a Khajuraho per molti giorni ed è per questo motivo che riuscimmo a diventare amici. Mangiava spesso nel mio ristorante con grandi elogi alla mia cucina, alla mia capacità organizzativa ma, al tempo stesso, non mancavano critiche e suggerimenti di cui io facevo tesoro.

George era un viaggiatore solitario in tutta la terra d'Oriente ed era già fuori dall'America da circa un anno.
Alloggiava spesso in alberghi o pensioni economici per ovvie ragioni, però, di tanto In tanto, si concedeva un paio di giorni in un hotel di lusso per ripulirsi, diceva lui, immergersi in una vasca da bagno piena di schiuma e godere qualche piccolo comfort di cui, quando si viaggia in Oriente a lungo, si sente un pazzesco bisogno.

A Khajuraho prese alloggio presso l'hotel Surya per diversi giorni e, prima di ripartire, se ne andò all'Holiday Inn e invitò me e mio figlio per un tè a bordo piscina, comprensivo di bagno per il quale chiese un permesso speciale poiché noi non eravamo ospiti dell'hotel.

Fu una pausa pomeridiana di relax per me e divertimento per mio figlio Aditya.

Naturalmente si permetteva di essere molto esigente negli hotel dove pagava almeno 8 volte la cifra che aveva sborsato al Surya e negli altri hotel a due stelle.

Quando non era soddisfatto di quello che riceveva in cambio del lauto ammontare richiesto dall'hotel, faceva le sue rimostranze teatrali.

Questo lo fece anche all' Holiday Inn. Chiamò il manager responsabile e, con il suo modo di fare divertente e sarcastico al tempo stesso, gli chiese:

"Questo è l'Holiday Inn, vero?"
"Si, signore"
"È un hotel 5 stelle?"
"SÌ"
" il vostro servizio è scadente" e ne illustrò i motivi per poi, concludere con la fatidica frase:

"who gave you the stars?"

 il seguito alla prossima puntata.

GEORGE - SECONDA PARTE - LA VEGGENZA

GEORGE- seconda parte

Mentre trascorrevano i giorni di quelle settimane in cui l’inverno indiano si fa tiepido e fa assaporare la primavera, George amava sorseggiare il suo cappuccino nel mio ristorante sotto il sole, gradevole, del mattino.

Aveva capito che, in quelle ore, avevo tempo di fare due chiacchiere, prima di cominciare a impartire ordini per la preparazione della salsa di pomodoro e altre prelibatezze.

Anche un viaggiatore solitario, ogni tanto, soffre di solitudine e cerca qualcuno che lo ascolti, qualcuno con cui poter condividere opinioni e impressioni di viaggio.
E si capiva bene che George stesse cercando un interlocutore ... o forse no!

Conosco, per esperienza, gli stati d’animo di chi attraversa continenti in perfetta solitudine.

Si può cambiare idea da un momento all’altro, si può decidere di partire all’improvviso da una località o di cambiare ristorante, albergo e itinerario senza dover mediare. Ma, al tempo stesso, i pensieri, le sensazioni si tengono per sé mentre, in fondo, l’essere umano ha bisogno di condivisione.

A quei tempi non c’era Internet e si era proprio isolati se il caso non ti permetteva di incontrare qualcuno disponibile a parlarti e condividere le sue esperienze, idee e sensazioni, in genere, interessanti e preziose e ascoltare le tue.

Lo scorso anno, ero a Delhi, sola, e stavo gustando la mia cena mentre sul mio cellulare continuavano ad apparire i messaggi dei miei amici; due ospiti dello stesso hotel dove alloggiavo mi hanno chiesto, a turno, di sedersi al mio tavolo e hanno iniziato a parlare raccontandomi le loro storie di viaggio, molto interessanti. Questa atmosfera mi ha riportato indietro di tanti anni.

So bene però che, all’inizio, ero piuttosto seccata della loro intromissione in un momento mio dedicato al gustoso pasto e ai miei pensieri.
Un tempo, nel periodo in cui conobbi George, avrei provato ben altri sentimenti.

Ma, torniamo e George: era un gran chiacchierone e tutto quello che diceva aveva, di solito, un fondo di ironia cui era impossibile resistere e mi strappava sempre una risata.
Sembrava quasi che il suo compito fosse quello di far divertire i suoi interlocutori. Era bravo anche nelle imitazioni.

A volte, ho pensato che alcuni suoi modi fossero studiati per rendere la persona cui si rivolgeva rilassata, farle abbassare la guardia e, nello spazio interiore che si creava, lui inseriva importanti informazioni o, per meglio dire, insegnamenti di vita.

Posso tranquillamente dire che l’ho considerato un mio Maestro.
La vita lo ha mandato quando avevo bisogno di fare un salto di qualità. In quegli anni e negli anni precedenti l’incontro con lui, avevo letto molti dei libri di Casteneda. Questo mi permise di riconoscere nel modo di fare di George alcune delle tecniche di Don Juan.
La mia energia si risvegliò e i miei occhi si aprirono, anzi, il mio terzo occhio si rimise in azione alla svelta.

Il seguito alla prossima puntata ...

GEORGE - TERZA PARTE - Who gave you the stars?

GEORGE - TERZA PARTE


Andai a Delhi dalla mia dentista e alloggiai in un piccolo hotel che mi consigliò George.
Main Bazar - Pahar Ganj
Lui si occupò di prenotare per me, era un ospite abituale, e chiese una "buona stanza".

Mi raccomandò che, all'arrivo, chiedessi di pulire bene il bagno (a quei tempi in India se prendevi alloggio in quella zona, il problema principale era il bagno, mai pulito abbastanza): una buona mancia all'inserviente e lui mai più mi avrebbe dimenticata e si sarebbe prodigato ogni giorno per mantenere la stanza pulita.
Così fu.
Per anni fui ospite del Roxy Hotel insieme a mio figlio Aditya Takshak che era sempre felice di scortarmi.

Delhi era città di "meraviglie" per lui perché si andava a comprare giocattoli, colori, album da colorare, libri per bambini che narravano le fantastiche storie degli dei e tutte quelle cose che a Khjauraho mancavano, compresi i gelati.

Nei mesi successivi, durante una di queste scorribande, incontrai George che aveva ripreso a viaggiare in lungo e in largo.

Fu così che una sera mi portò dove si accampavano a dormire i conducenti di rikshiò
a pedali.

Era inverno, dormivano sul loro veicolo, in precario equilibrio, avvolti in una coperta diversa ogni sera (presa in affitto per la notte) e restituita al mattino successivo.
La distribuzione delle coperte, previo pagamento, era effettuata da un camionista.  Questi poveretti, dopo aver lavorato duramente per tutto il giorno, consumata una cena frugale, dormivano di un sonno di piombo, per riposare le membra stanche, esauste a causa di una giornata trascorsa a scorrazzare per la città, gente, spesso, carica di bagagli.

Eppure, posso dire che, quando arrivavo alla stazione ferroviaria di Delhi, con mio figlio che, all'epoca aveva quattro anni, questi uomini, anche alle 10 di sera, avevano un sorriso per il bambino, e occhi amorevoli e colmi di stupore quando lui, con la sua semplicità, parlando hindi, facendosi carico di essere mio perfetto assistente, li informava su nome e indirizzo dell'hotel.
E, nel breve tragitto lo tempestavano di domande: la stanchezza cedeva il posto alla curiosità.
Ci salutavano e, con una stretta al cuore, elargivo una mancia consistente. Forse, da qualche parte, in un lontano villaggio, anche loro avevano un bambino da sfamare, che potevano stringere tra le braccia una volta l'anno ...

martedì 12 febbraio 2019

GEORGE - QUARTA PARTE - You can change your life

GEORGE - QUARTA PARTE 

"Puoi cambiare la tua vita, you can change your LIFE"

Queste le parole che continuano a risuonare nella mia mente quando penso a George. 
Ci stavo pensando da tempo ma non riuscivo a trovare le soluzioni in me. 
Ormai era chiaro: bisognava prendere un'iniziativa concreta, eppure segnavo il passo.
Devo, non devo. 
Sarà il passaggio giusto per me?
La vita in India era sempre intensa e interessante ma qualcosa di diverso doveva accadere: troppa stagnazione per il mio carattere. 
Il ristorante poteva andar da sé e io volevo entrare in qualcosa di più costruttivo, mettermi alla prova ancora una volta. 
Ma era la cosa giusta anche per mio figlio? Lui era molto legato a quel tipo di vita eppure sapevo bene che quelle tradizioni, ben presto, sarebbero state strette a un giovane che avrebbe vissuto, necessariamente, tra due culture.

Discussi molto questo punto di vista con George. 
In alcuni momenti, proprio non mi riusciva di vedere mio figlio crescere con tutte le limitazioni che la tradizione è la società in India imponeva e, tutt'oggi, impone. 

Lo sentivo che da qualche parte ci sarebbe stata un'esplosione, la Torre dei tarocchi era dietro l'angolo. 

Il matrimonio aveva ormai dato ciò che poteva dare, ma, su alcuni aspetti le energie non erano conciliabili e le sentivo scomode. 
Il tempo scorreva, in modo diverso e ripetitivo. 
Avevo cambiato città e Jaipur era adorabile. 
Ci ho lasciato il cuore al punto tale che ho bisogno di tornare lì spesso. 
Mi sento a casa mia come fossi a Roma. Le mura di cinta della città rosa, gli antichi palazzi, i vicoli affollati e maleodoranti nelle ore calde, le mucche che passeggiano ancora elemosinando un chapati o rubacchiando patate e cavolfiori ai venditori ambulanti. 

Tutto questo è stampato nella mia memoria e tutto è ancora lì ad aspettarmi quando torno.
Un mio caro amico mi chiese, a quel tempo, di scrivere un articolo su Jaipur che fu persino pubblicato su una rivista di viaggi. 
Un mio tributo alla città costruita in base a leggi astronomiche. 
Forse per questo Jaipur fu teatro della mia decisione di lasciare quasi come se, per un gioco di angoli, quadrature e trigoni, divennero "attivi" alcuni aspetti del mio tema natale e si determinarono, in breve, fatti ed eventi che mi permisero di partire. Perché accadano certi eventi non basta il momento giusto, ci vuole il posto giusto. 

Lo aveva detto a chiare lettere George:
"you can change your life!"

E il cambiamento avvenne a una tale velocità che non ebbi quasi il tempo di pensare.