mercoledì 29 ottobre 2014

AYURVEDA SCIENZA DI VITA

Ayurveda significa ‘scienza di vita’.

È un sistema fatto di suggerimenti di stile di vita,  valido per tutti gli esseri umani, che viene praticato in India da tempo immemorabile. Non c'è bisogno di arrivare a una malattia per adottare lo stile di vita Ayurveda.

Salute, secondo l’Ayurveda, non significa solamente assenza di malattie. Una persona è da considerarsi sana infatti quando la sua mente, i suoi organi e la sua anima sono in uno stato di perfetto equilibrio. Ayurveda è prevenzione.

Secondo il chirurgo Sushruta, vissuto probabilmente nel VII secolo a. c., è da considerarsi sana una persona che ha in equilibrio:
1.    i Dosha (Vata, Pitta e Kapha, responsabili delle funzioni o delle disfunzioni degli organi);
2.    gli Agni, enzimi responsabili della digestione e del metabolismo;
3.    i Dhatus, che costituiscono la struttura del corpo; la felicità dell’anima, dei sensi e della mente.

L’Ayurveda pone enfasi tanto sulla conservazione quanto sulla promozione della salute, oltre che sulla prevenzione e cura delle malattie.
Per questo motivo, in questa ‘scienza della vita’ alcune terapie vengono prescritte sia a chi è malato sia a chi è sano.
“Quando il corpo ha bisogno di terapie?”, il corpo di un individuo ha, nel corso del tempo, una serie di ‘prove’ da superare; durante le fasi del giorno e della notte; durante le varie stagioni; durante le varie età della vita.

Nei testi Ayurveda troviamo una serie di terapie (tra cui grande rilievo riveste il massaggio) che favorisce il potere di resistenza del corpo ai cambiamenti o la guarigione di una malattia che si sta manifestando. 

IL MASSAGGIO NELLA TRADIZIONE AYURVEDA

IL MASSAGGIO AYURVEDICO

Il massaggio è sempre stato considerato di grande importanza nella tradizione ayurvedica. Sottoporsi annualmente a un ciclo di massaggi è ideale per mantenere una buona salute.
Dovrebbe essere adottato come una pratica di vita.
Gli antichi testi Ayurvedici consigliano l’uso di oli diversi, adatti alla stagione e alla costituzione della persona.
Il massaggio fa aumentare il meccanismo di difesa immunitaria del corpo nei confronti dell’ambiente. E’ un ottimo esercizio per il sistema nervoso.
Negli antichi testi Ayurvedici sono citati i “Dodici benefici del massaggio”.


allontanare la vecchiaia
eliminare la stanchezza e il senso di fatica
eliminare l’umore Vata in eccesso
migliorare la vista
aumentare la resistenza fisica
dare lunga vita
favorire il sonno
rinforzare la pelle
potenziare la reazione alle malattie
accelerare la guarigione delle ferite
proteggere dagli squilibri di Kapha, Pitta e Vata
migliorare il colore e la resistenza della pelle


martedì 28 ottobre 2014

In autobus verso il villaggio

Mi piaceva andare al villaggio. Ci muovevamo da Alwar, piccola città del Rajasthan dove viveva mio marito, Rama, usando mezzi di linea. 


Alwar road map


Gli autobus erano affollati, uomini seduti persino sul tetto che ospitava chi, pur viaggiando con il sole a picco che batteva implacabile sui colorati turbanti dei contadini locali, preferiva respirare un'aria diversa da quella interna. Pagavano il biglietto prima di salire. L'autista era ben attento a rallentare mentre percorreva i tornanti per evitare che qualcuno potesse cadere dal tetto.

Il bello di quei trasporti locali, almeno allora, era che si fermavano "a richiesta" di chi volesse salire o scendere in qualunque punto del tragitto per facilitare i viaggiatori sempre numerosi.
Per me, già salire sul bus era un'impresa: il primo gradino era così alto da terra che Rama doveva issarmi. Una volta dentro si dava da fare per farmi sedere tra i posti della fila riservata alle donne, tutte rigorosamente velate. Volentieri si stringevano per farmi spazio pur di avere la possibilità di osservare da vicino una donna che "veniva da lontano, da un altro paese".

Sempre, un tam tam di domande e risposte tra le anziane e Rama, faceva scattare l'abbinamento "italiana come Sonia Gandhi" e sembrava che questo permettesse loro di  collocarmi meglio nei loro archivi mentali.
In fondo se Rajiv Gandhi, che fu barbaramente ucciso proprio in quel periodo, aveva sposato Sonia, per quale motivo un giovane uomo rajasthano, uno dei loro, non poteva avere sposato un'altra italiana?

E così scattavano i loro gesti di approvazione, i sorrisi. Si accertavano che i suoceri indiani avessero accettato con gioia il nostro matrimonio e che pure la famiglia italiana fosse contenta di aver mandato una figlia così lontana da casa.
La mia famiglia non sapeva ancora, in quel momento, che mi fossi sposata!!! Questo ci guardavamo bene dal dirglielo, sarebbe stato troppo difficile da comprendere per loro che fanno del matrimonio e della sua celebrazione uno dei più importanti avvenimenti della vita e, di sicuro, un evento cardine nella vita di ogni famiglia  indiana.
Controllavano con attenzione che indossassi tutti i segni che contraddistinguono una donna indiana sposata da una nubile e, in tal modo, mi accettavano nella grande famiglia India dichiarando apertamente: ora sei indiana, ti auguriamo di avere presto un figlio maschio.

Era caldo quel giugno, mentre l'autobus si inerpicava sulla strada che tagliava la montagna: il calore immagazzinato dalle pareti di roccia granitica ci veniva restituito con generosità e contribuiva a farmi entrare in uno stato di sonnolenza che si impossessava di me per tutto il resto del tragitto.

Quando l'autobus si fermava, aprivo gli occhi e osservavo quelli che erano arrivati a destinazione. Mi piaceva seguirli con lo sguardo mentre, carichi di pacchi, si incamminavamo per raggiungere le loro case tra i campi dove li attendeva ombra, profumo di pane appena cotto, acqua fresca e l'immancabile chai, tè al latte abbondantemente zuccherato e aromatizzato con elaichi (cardamono).

Quando a nostra volta arrivavamo a destinazione, mentre percorrevamo il sentiero che ci portava alla casa, si poteva star certi che qualcuno della famiglia o delle case accanto, ci avesse già avvistati e un adolescente veniva spedito per aiutarci a trasportare le buste da cui traboccavano i profumati manghi che avevamo acquistato prima di lasciare Alwar.
La suocera veniva ad accogliermi al cancello aspettando con pazienza che io e mio marito ci chinassimo per sfiorarle i piedi, saluto riservato agli anziani, le sue lunghe mani nodose toccavano il nostro capo in segno di benedizione, dicendo "sono felice", e mi precedeva per guidarmi all'interno della casa  dove mi aspettavano le altre donne.

Donna nel villaggio
foto scattata nel 1991 e miracolosamente sopravvissuta a tanti traslochi.










mercoledì 22 ottobre 2014

La famiglia del Rajasthan

Vivere con una famiglia del Rajasthan, in un villaggio, non è cosa semplice, soprattutto se hai sposato un indiano e sei una "nuora" occidentale.
.Il villaggio, Jat Behror, era affascinante perché intatto nello stile di vita, le tradizioni regolavano l'esistenza, le scelte e i ritmi dei suoi abitanti, uguali e ripetitivi con il  passare dei decenni, forse dei secoli. 
L'unica novità era costituita dal passaggio di qualche rara, sporadica moto e dall'elettricità per poche ore al giorno e non tutti i giorni.

I miei suoceri possedevano un'antica casa nel centro del villaggio e una casa moderna costruita a ridosso dei loro campi.
Io amavo la casa antica ma non c'era il confort del gabinetto!!!  Se non ci fosse stato questo inconveniente sono certa che avrei voluto vivere lì. 
Nelle stanze c'era tutta l'energia della vita che era stata vissuta tra quelle pareti, si poteva percepire uno "spessore", una vibrazione di presenze, di profumi, oserei dire di pensieri. 

Sembrava quasi che le pareti avessero una vita propria.
Mi piaceva il terrazzo che si affacciava sugli stretti vicoli, e la cucina sistemata in un angolo, i fornelli di terracotta a terra, a ridosso di una parete annerita dal fumo.

Al mattino, i pavoni si posavano sui terrazzi delle case, richiamati dai chicchi di grano che venivano lasciati lì per loro. 
I maestosi uccelli, dopo aver mangiato, con il loro volo basso e pesante, andavano a posarsi sui rami di alberi vicini dove potevano godere della frescura fino al calar del sole. 
Gli uccellini passeggiavano indisturbati sul terrazzo e visitavano le stanze nella speranza di poter beccare qualche briciola sfuggita all'implacabile "jaaru" (scopa) che una qualunque delle donne della casa, con puntigliosa solerzia, sventagliava sui semplici pavimenti, più volte al giorno..  

Al tramonto, in lontananza, in fondo ai campi si potevano scorgere, quelle che erano chiamate le mucche blu "nil gai" una razza di antilopi che godevano di grande rispetto e considerazione. Animali schivi e prudenti, potevano cibarsi di ciò che offrivano i campi coltivati e che fosse di loro gradimento. 






Il villaggio, a quei tempi, era servito dalla compagnia elettrica per una o due ore al giorno e non tutti i giorni. In quell'occasione si azionava la pompa elettrica che tirava su l'acqua dal pozzo e tutti si davano un gran da fare per riempire tutti i recipienti disponibili nella casa.

La famiglia mangiava soltanto ciò che era prodotto dalla propria terra  e beveva il latte munto dalla propria bufala e, se ce n'era a sufficienza, si potevano avere anche lo yogurth e il burro.

Il cibo, semplice e sapientemente speziato, era cucinato su fornelli fatti di terracotta il cui fuoco era alimentato da rametti secchi e sterco di mucca mescolato alla paglia e fatto essiccare al sole. 

Il pane (chapati) non lievitato, sottile e di forma circolare, prodotto fresco ad ogni pasto.



Fino al giorno in cui non mi lavai con l'acqua attinta dal pozzo di un certo tempio di un loro Guru deceduto da circa cento anni, non potevo entrare in cucina, e dovevo chiedere alle altre donne di servirmi persino un bicchiere d'acqua attinta dalla grande anfora di terracotta ... non ero purificata!

L'ora del tè così come l'ora dei pasti era stabilita dalla suocera, per me facevano un'eccezione perché straniera e accettavano il fatto che avessi altre abitudini, per quanto fossero stupiti che si potesse avere un desiderio diverso dal resto della famiglia! 
Nei caldi pomeriggi, mentre tutti si rilassavano sdraiati sui "charpoi", letti indiani, lasciando andare qualunque resistenza al sonno, io mi dedicavo alla lettura di qualche libro. 

Felice del silenzio di parole e di sguardi che si faceva attorno a me, mi portavo nella parte più alta della casa per guardare i campi in lontananza. La calura rendeva tutte immobili alberi, animali, esseri umani.

Le donne giovani, figlie e nuore, vivevano soprattutto nel retro della casa che, per fortuna si affacciava sui vasti campi.

Il patio era luogo degli uomini e delle donne anziane, le uniche alle quali era consentito parlare con uomini che non fossero il marito.
Le mie cognate avevano sempre il capo coperto da un lungo velo ed erano  pronte a farlo scivolare sul viso se sentivano avvicinarsi i passi di un uomo. Ammiravo la tempestività delle donne nel compiere quel movimento che avrebbe celato il loro volto al mondo maschile. Quando andavano vicino alla cisterna dell'acqua, situata nella parte antistante la casa, per lavare i piatti, rimanevano a volto coperto per tutto il tempo della durata dell'operazione.

Sbalordita cercavo di comprendere, attraverso l'osservazione, i loro comportamenti, le loro regole. 

Le sorelle di mio marito, nella casa dei loro genitori, godevano di maggiore libertà rispetto alle mogli dei fratelli. Non dovevano coprire il  volto davanti agli uomini e potevano anche sostare e sedere nel patio, parlare con il padre, con i fratelli, zii e cugini. A loro non era concesso di lasciare le mura di cinta della casa da sole, ma sempre, rigorosamente scortate da una donna anziana o da un uomo della famiglia. In strada non erano tenute a velare il viso.


Dopo il matrimonio, le giovani spose si stabiliscono nella casa dei suoceri e, a quel punto, con la massima tranquillità adottano tutta una serie di comportamenti obbligati a cui loro non pensano affatto di ribellarsi.
  
Non ho mai visto le altre nuore parlare con il marito in pubblico o di fronte a qualunque altro familiare di sesso maschile di età maggiore del marito. 
Per giunta, all'interno e nel retro della casa non accedevano mai estranei di sesso maschile, gli ospiti erano ricevuti dagli uomini della famiglia. 

Se i mariti avevano qualcosa da chiedere alle loro mogli, notavo che, in genere, si rivolgevano alla madre che faceva da intermediaria. 
Qualunque tipo di contatto fisico in pubblico, perfino lo sfioramento, era impensabile.
Non escono dalla casa a meno che non siano accompagnate e solo per "motivi giustificati", in quel caso, coprono il loro volto, abbassando il velo per tutto il tragitto da compiere. 

venerdì 17 ottobre 2014

Vita da viaggiatrice

Iniziava per me, in quel momento, una lunga avventura. 

Potevo presagirlo, assaporarlo.


Fu il mio amico di New Delhi, Pardeep Kumar, ad aprirmi le strade per vivere a stretto contatto con il vero stile di vita indiano fatto di famiglie allargate, villaggi dove tutto si muove attorno ad una vita semplice, regolata dai ritmi della natura. E' il sole a decidere quando è il momento di uscire dal letto e mungere le bufale, e quando è necessario fermarsi e ripararsi all'interno delle case e attendere che cessi la calura.

Sedevo nelle case, assieme alle donne. Consumavo pasti gustosi, veri manicaretti riservati agli ospiti e alle grandi occasioni.

Intanto, si era sparsa la voce che sapevo predire il futuro non leggendo la mano come fanno gli astrologi indiani con una precisione sbalorditiva ma, attraverso la lettura dei tarocchi. Non capivo proprio perché la gente venisse da me, ma, si sa, chi viene da lontano forse conosce qualcosa in più ...

Le immagini riportate sulle carte sono un vero messaggio universale compreso anche da gente semplice e analfabeta. Per chi mi consultava tutto questo era strano, insolito, ben diverso dai segni "misteriosi" che i loro astrologi di fiducia tracciavano sulla carta e che davano vita a responsi inoppugnabili.

L'indice della mia popolarità ebbe un'impennata quando predissi la nascita prematura e quindi di grande pericolo di vita, di un figlio di sesso maschile, in una famiglia che vantava origini nobili e che aveva grande peso a Rewari, nello stato dell'Haryana. Tutto accadde come previsto e, a quel punto, la gente sostava in fila davanti al cancello della casa che mi ospitava fin dal mattino all'alba.

Questo per me era un enorme stress perché al mattino mi piaceva oziare e osservare la vita che si animava all'interno della casa. I miei occhi volevano seguire attenti e curiosi quei rituali così nuovi per me, mentre lo scrosciare dei rubinetti annunciava che è il momento della raccolta della riserva quotidiana di acqua per la famiglia, e ogni recipiente a disposizione viene riempito fino all'orlo, il canto del Gayatri Mantra risuonava in ogni casa per ricordare che le azioni di quella giornata sono rivolte a Dio.
  
Gli indiani non comprendevano il mio ritmo di lavoro perché sono soliti consultare l'astrologo soltanto al mattino. 
Pian piano venimmo a una mediazione: iniziavo a lavorare per loro alle otto.
Fu questo un fantastico modo per comprendere a fondo cosa si celava sotto i coloratissimi veli indossati dalle donne: speranza di costruire la casa, di avere un figlio maschio, di avere sufficiente denaro per organizzare un ottimo matrimonio alle figlie femmine. 

Le ragazze che mi consultavano volevano la certezza che l'uomo che le avrebbe prese in moglie le avrebbe amate e che la futura suocera sarebbe stata contenta di loro!!! Una di loro vive oggi in Italia, a Roma, e sono sicura che la mia predizione si è avverata: suo marito la ama.
 

mercoledì 8 ottobre 2014

KARMA YOGA

Ciclo eterno del divenire


La pratica del karma yoga ci insegna il distacco dal frutto delle azioni, e non la rinuncia dell’azione stessa.

Si tratta di un percorso molto impegnativo perché richiede la continua consapevolezza dei pensieri, delle sensazioni, delle emozioni e delle azioni quotidiane.

 Samsāra, è il ciclo eterno del divenire, è l’insieme dell’esistenza universale e individuale, retta dal Karma con i suoi corsi e ricorsi ciclici. 

"L'uno che pervade tutte le cose è imperituro
Bhagavad Gita 2:17

E' il percorso da uno stato di coscienza all’altro,  il processo di trasmigrazione da una vita all’altra, sino al raggiungimento della liberazione finale che coincide con l'assenza del desderio di reincarnarsi.

  Ogni singola esistenza è un sentiero da percorrere per evolvere in modo consapevole e ridurre la sofferenza terrena.

Di solito, gli esseri umani lavorano per concretizzare un ideale ma anche per realizzarsi, per ottenere ricompense e profitti a favore di se stessi, per nutrire le proprie ambizioni, per la ricerca del potere personale o per tante altre ragioni.

Con il trascorrere del tempo, molti rischiano di diventare schiavi del proprio lavoro e degli utili ricavabili o non, finendo per viverlo solo come fonte di benessere o di malessere, secondo i casi. 

Accade spesso che, dopo l’iniziale impegno appassionato, a poco a poco, alcuni finiscano per annientarsi nel lavoro, facendo scelte sempre più interessate e venali. 

L’idea del profitto prenderà il sopravvento su tutto il resto. Altri si alienano nella corsa verso le ambizioni, il successo o il benessere materiale, fino alla schiavitù, annientano la propria natura e mostrano totale indifferenza verso gli altri.

 Un rischio che, prima o poi, può scaturire da quest’approccio, è il rallentamento o il blocco della propria evoluzione, anche al punto di capovolgere la situazione acquisita e produrre inadeguatezza e fallimenti, non solo dal punto di vista etico o spirituale ma anche da quello professionale e sociale.

 Il karma yoga può essere un ottimo strumento di prevenzione per questo tipo di degenerazione. 

Naturalmente, questa pratica non deve necessariamente trasformare gli individui in missionari al  cieco servizio delle imprese o degli utenti, anche perché in questo modo, si potrebbe addirittura capovolgere la situazione, producendo mistificazioni. 

L'individuo che pratica il karma yoga, pur vivendo ogni attività lavorativa come un atto sacro, come mezzo d’evoluzione e come rito, chiede e riceve la sua giusta remunerazione, non rinuncia al suo guadagno ma nemmeno subordina il proprio lavoro al solo profitto o alla sola crescita personale. 


Nel programmare le attività lavorative e nello svolgere i suoi compiti, egli è concentrato sulle persone verso cui è indirizzato il suo servizio. 

D’altro canto, senza dover scegliere la vita spirituale, quest’approccio dovrebbe far parte dell’etica professionale di ognuno, ed ancor più di chi esercita professioni basate sulla relazione d’aiuto e sviluppo delle risorse umane.

sabato 4 ottobre 2014

IL PRIMO CHAKRA



                    YOGA : PRIMO CHAKRA - MULADHARA
                               
Il nome, Muladhara, significa mazzo di radici.


Il primo chakra è detto anche “chakra radice”.
Questo chakra risponde alla frequenza vibratoria del colore rosso denso.

L’elemento del primo chakra è la terra.
E’ legato alla quantità di energia vitale del fisico e determina il desiderio e la volontà della persona di vivere il mondo fisico, materiale.
E’ il fondamento essenziale per il resto dei centri energetici perché consente all’energia della terra di raggiungere la nostra struttura energetica vitale.
Influisce sui bisogni primari per la sopravvivenza fisica sia individuale che collettiva.
Sul piano individuale si manifesta con la preoccupazione di ottenere il cibo, la casa e i beni materiali.

L’apertura e il buon funzionamento di questo centro consente di godere del mondo materiale, di vivere in armonia con la madre terra e con i cicli della natura.
L’apertura di questo centro permette di sentirci stabili e di avere un’esistenza fisica ed energetica piena di soddisfazioni.
Gli organi legati a questo centro (che parte dallo spazio retropineale) sono l’intestino cieco, il retto, l’uretere e le ghiandole surrenali.
Le parti del corpo connesse al chakra sono: piedi, caviglie, gambe, ginocchia, cosce.
Se questo centro non è ben bilanciato, la quantità di energia assorbita sarà sotto la norma e la persona si sentirà poco sicura sul piano materiale, di conseguenza i pensieri e le azioni saranno indirizzati alla ricerca di questa sicurezza materiale che diventerà lo scopo nella vita, l’individuo si sentirà insicuro e insoddisfatto, ma quello che gli manca è l’energia vitale, non la materia.
I pensieri diventano ossessivi, la tristezza domina fino a raggiungere la depressione.
Questo chakra è legato all’attaccamento per tutto ciò che attraverso la materia ci dà sicurezza: casa, denaro, automobile ecc.,
Una persona che ha questo centro non equilibrato avrà difficoltà a dare e ricevere.
La materia gli conferirà un certo grado di calma mentre la restrizione di essa farà entrare l’individuo in uno stress psicologico e fisico dovuto all’attivazione eccessiva delle ghiandole surrenali.
Questo causerà l’insorgere di comportamenti ossessivi nei confronti del mondo materiale quali avarizia e tendenza a conservare tutto oppure estremo dispendio e spregio nei confronti della materia.


Suono seme, bij mantra: LAN   

venerdì 3 ottobre 2014

YOGA: aspetto fondamentale dell'ayurveda

Ayurveda e Yoga


Lo Yoga è una straordinaria scienza i cui metodi coprono l'intero campo della nostra esistenza: dal fisico, sensoriale, emotivo, mentale e spirituale.
Possiamo immaginare lo Yoga come una grande gemma dalle molte sfaccettature.


Risale a cinquemila anni fa ed è arrivata fino ai nostri giorni, così pure l'Ayurveda che ha una lunga storia.

Entrambe queste scienze di vita sono distillati di saggezza e possiedono la profonda comprensione delle leggi di natura: esse favoriscono la buona salute e la crescita ottimale di tutte le creature.

Ci insegnano a capire il linguaggio del corpo, della natura e della vita per poter vivere in armonia con l'universo intero nella sua continua evoluzione e con tutte le forme di vita che vi si manifestano.


Yoga e Ayurveda si sono sviluppate insieme, si sono influenzate ripetutamente una con l'altra, possono operare insieme e, in tal caso, i benefici aumentano, a tutti i livelli.

giovedì 2 ottobre 2014

Yoga, Dharma e Ayurveda




Dharma è una parola in lingua sanscrita che si riferisce alle leggi della verità che governano l'universo intero.


Dharma è ciò che sostiene ogni cosa, è il fondamento della legge universale su cui bisogna basare le proprie azioni perché abbiano il sostegno della legge che mantiene l'universo.
Lo Yoga è una pratica spirituale dharmica, è la via dell'autorealizzazione, infatti le tecniche dello yoga ci aiutano a utilizzare la legge naturale e tutte le forze spirituali presenti in natura.

Attraverso l'utilizzo dello Yoga noi possiamo trasformare la nostra coscienza e seguire la via che conduce all'illuminazione.
Vivere secondo il Dharma dà salute, pace e felicità. La scelta di seguire il Dharma mette in contatto l'individuo con le forze cosmiche benefiche. 
La scelta di perseguire uno stile di vita dharmico permette di seguire la pratica spirituale. 


Chi adotta un modo di vivere adharmico, fuori dell'armonia con l'universo, seppure potrebbe avere vantaggi esterni,materiali, questi saranno transitori. 

Il sentiero adharmico conduce alla sperimentazione di dolore e disturbi emotivi perché la coscienza si restringe e ci consegnerà a quell'oscurità entro cui, a fatica, la mente turbolenta e inquieta si muoverà.

Molte malattie si manifestano per aver seguito il sentiero adharmico.

L'Ayurveda, scienza di vita,  è un approccio dharmico alla salute e allo stile di vita quotidiano in armonia con la natura, con i cicli giornalieri e stagionali.


La mia vita in India

IO E L'INDIA: APPUNTI DI VITA VISSUTA 

Dedico questa sezione del blog a mio figlio Aditya Takshak, a tutti coloro che in India mi hanno dato amicizia e supporto, in particolare al mio amico Govinda Soni di Khajuraho che non è più tra noi.


VIAGGIARE
Quante volte in questi anni trascorsi ho pensato che avrei dovuto scrivere per raccontare la mia vita in India!
Il tempo e la concentrazione necessari per realizzare questa intenzione erano sempre troppo scarsi.
Anche ora non saprei proprio come iniziare. Oppure, sì, certo, il mio "desiderio" potrebbe essere il giusto inizio.

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Un giorno, tanti anni fa, viaggiavo per la prima volta in India e procedevo da Udaipur in direzione Agra…
Jaipur , stazione degli autobus. Una sosta di breve durata, forse un’ora: un’ondata di desiderio mi ha investita, una memoria di appartenenza. La capitale del Rajasthan dove avrei vissuto e abitato per due anni ben quattordici anni dopo.

Tornerò, pensai, voglio andare a fondo di questa sensazione.

E poi via, di nuovo su un altro autobus, attraverso strade accidentate, tra scossoni e polvere Agra, Varanasi e, infine, Khajuraho.

Khajuraho, con i suoi templi con sculture tantriche, dopo tanto vagare, nel 1982, mi apparve come un’oasi di silenzio.
Le strade pulite, pochi semplici negozietti. Non una città, ma, finalmente, un villaggio dove il tempo scorreva più lento che altrove.





L’area archeologica, i maestosi templi, era circondata dal verde e dal silenzio quasi a sottolineare l’importanza del luogo.

Si stava bene a Khajuraho, sentii che potevo  fermarmi a riposare per ritemprarmi prima di rientrare a Roma. Quei pochi giorni mi permisero di sentire che il luogo era familiare, mi trovavo a mio agio. Molti anni dopo vissi lì uno dei periodi più intensi, felici e faticosi della mia vita.

Ero ormai giunta al termine del mio primo viaggio in India. 

Mentre l’aereo si sollevava mostrandoci le miriadi di tetti di New Delhi, promettevo a me stessa “tornerò”. 

L’inverno romano, subito dopo il viaggio, fu difficile. I colori e i profumi dell’India continuavano ad essere forti e vividi nella mia mente. Il desiderio di tornare era sempre lì, forte e costante.

Tornare, sì.  Andare a fondo, esplorare quel desiderio che mi dava nuove strane sensazioni: essere inghiottita da tutte quelle folle in movimento, quegli odori penetranti, quella vita lenta e frenetica al tempo stesso.

Svariati brevi viaggi mi riportarono in India e, nel frattempo,  preparavo speranzosa quello che sarebbe stato il “mio lungo viaggio”.

Dopo alcuni anni di paziente preparazione, fui in grado di lasciare il lavoro e partire.
Era il 12 dicembre 1990: avevo davanti a me un lungo periodo di permanenza, un anno, per l’esattezza.
Almeno questi erano i piani.